Semya Bols’noj

Vi abbiamo lasciato l’acquolina in bocca? Bene, perché siamo già pronti a conoscere il secondo gruppo di questa introspettiva sul mondo Vaniriano. E dopo l’esordio in rosa delle valchirie di Naomh, siamo piuttosto certi non potrete che gradire un po’ di Saros: quello con cui si dice che una certa famiglia si diletti a far saltare sul posto il malcapitato di turno.

I Semya Bols’noj appartengono da sempre al grande popolo dei Sillavani, di cui condividono l’origine etnica e nei cui censimenti imperiali vengono ancora inseriti, sebbene presentino peculiarità storiche e culturali assolutamente uniche. La storia e le tradizioni dell’etnia Bols’noj, come quelle della maggior parte dei Sillavani, vengono tramandate oralmente nell’ambito delle numerose ma piccole comunità sparse nell’immensa regione del Sibir, per cui risulta difficile discernere accuratamente tra ciò che a tutti gli effetti è dato storico ciò che, invece, vive nella memoria della Famiglia come leggenda.
“Semya”, in lingua comune, ha significato di “Famiglia”, o di “Sangue”, mentre “Bols’noj”, a seconda della declinazione e del contesto, ha invece significato di “purificato” o di “avvelenato”; “Semya Bols’noj” è pertanto traducibile in “Sangue Puro” oppure “la Famiglia Purificata” oppure “la Famiglia Avvelenata”. Questa peculiare nomea è dovuta, oltre alle leggende orali tramandate dalla Famiglia, anche e soprattutto all’anomala percentuale di Daleko che i Semya Bols’noj annoverano fra le loro fila.

Le leggende Bols’noj vogliono che l’origine della Semya sia così antica da coincidere con l’inizio della storia conosciuta. Attorno a deboli fuochi,aggrediti dai venti gelidi, nel grigio chiarore del giorno o nella piatta oscurità della notte, tra uno spostamento e l’altro, i Nonni raccontano ai giovani Bols’noj che al tempo della grande guerra dei Custodi un dente del Sacro Basilisco cadde nel fiume Nazaj, la cui omonima Valle è quella in cui la Famiglia ebbe origine. Il veleno del basilisco purificò le acque da cui si sarebbero abbeverati i capostipiti della Famiglia, divenendo a loro volta “puri” in virtù del veleno che oramai aveva impregnato le loro stesse carni. Tale benedizione avrebbe anche loro fornito una particolare smania per il distillato di patata, ed è per questo, almeno così narra la leggenda, che i Bols’noj ne assumono dosi talora suicide, nel tentativo di ricercare il sapore del sangue di basilisco. In virtù della benedizione del Balisisco stesso, i Nonni sostengono che i Bols’noj siano effettivamente persone migliori delle altre: gli appartenenti alla Semya infatti, non si ritengono solo superiori in forza, intelligenza, resistenza all’alcool o perizia, ma anche e soprattutto nella rettitudine morale, per quanto questo possa sembrare davvero assurdo.

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La storia imperiale ricorda i Bols’noj come una delle ultime etnie annesse all’Impero, nel 1117: prima di tale data i Bols’noj, popolo di cacciatori, razziatori e uomini fieramente liberi, si sarebbero macchiati di innumerevoli crimini nei confronti delle altre popolazioni dell’Impero e della stessa Sibir, depredando villaggi, città minori ed in rare occasioni maggiori, mai fermandosi in alcun luogo, sempre in movimento nella sterminata tundra. Le tensioni con questi uomini fieri sembravano non avere mai fine. Tutte le guerre però arrivano ad una conclusione, ed infine, dopo secoli di guerriglia bieca ai danni della popolazione civile imperiale, una congiuntura di eventi portò all’attuale sposalizio tra la Famiglia e l’Impero: ma cosa accadde realmente? Nel 1116 Boris III Mikajlovič, secondogenito della famiglia Boiarda di Sibir, stipulò con la Famiglia un accordo, tutt’ora in vigore, che sancisce la libertà dei figli maschi di non prestare servizio nell’esercito Imperiale, ma di formare compagnie irregolari tra consanguinei, i cui servigi vengono remunerati, alla bisogna, con le casse del Principato: solo in caso di mobilitazione alla guerra dell’intero Impero e di coscrizione obbligatoria, i Bols’noj devono accorrere senza chiedere alcun dazio per difendere la comune Patria. In cambio, essi s’impegnavano a cessare ogni atto ostile ai danni dei popoli dell’Impero, rispettandone le leggi (sebbene a volta con troppa elasticità), ad intervenire contro briganti e razziatori mantenendo il diritto alla metà del bottino recuperato, a titolo di ricompensa.
Da allora, i Bols’noj sono considerati come un male necessario a mantenere pace e serenità, sebbene taluni ne apprezzino sinceramente il carattere schietto e cinico.

Contrariamente a quanto si possa pensare di persone che hanno fatto della razzia un’arte, l’agio e la ricchezza sono per i Bols’noj veri e propri nemici: abiti troppo comodi e lavorati, gioielli, ornamenti di qualunque genere e l’eccessiva igiene personale portano l’uomo ad adagiarsi ed il guerriero a discostarsi da ciò che lo rende valente in battaglia, distorcendo quella che dovrebbe essere la ferrea volontà di un figlio della Semya. Questo principio si applica generalmente ad ogni sfoggio di ricchezza con l’unica eccezione di ciò che può rendere un guerriero più efficiente in combattimento.
Non a caso infatti il caratteristico rispetto e orgoglio per le proprie armi tipico di tutto il popolo dell’Impero è particolarmente accentuato tra i Bols’noj tanto da essere rasente al fanatismo in alcuni dei membri della Semya. Costoro considerano le loro sputafuoco e le loro lame come espressione del loro valore e del loro ardimento, e taluni dicono come vere e proprie mogli.
Impugnare un fucile dalla canna lucida e perfettamente oliata, indossare le armi di fine fattura strappate dal corpo di un nemico, sono considerati allo stesso tempo una misura del valore di un guerriero e del suo disprezzo del pericolo in quanto un equipaggiamento di valore attira le attenzioni degli avversari in battaglia e non raramente quelle dei propri alleati.
La Famiglia è da sempre totalmente devota alla Triade: i Bols’noj pregano Sargon prima di ogni azione, di qualunque natura essa sia, affinché conceda loro l’infallibilità, mentre a Rachis raccomandano i propri figli e le partorienti, perché il parto vada a buon fine e la prole cresca forte.
A Ghola lanciano benevoli improperi, sebbene della Triade sia quella a cui maggiormente danno il loro rispetto: la morte è vista come naturale conclusione della vita, ed essi la temono come ogni uomo dotato di senno sa di dover fare.